RECENSIONE A CURA DI
Monica Florio - giornalista Se il tardivo approdo alla narrativa da parte di Elisa Sala Borin va attribuito – a suo dire - all’eccessiva timidezza, è anche vero che, rispetto ad altre autrici la cui vena artistica è emersa nella maturità, la scrittrice trevigiana sia decisamente più dotata. I suoi racconti, sospesi tra sogno e realtà, contaminano memoria e fantasia in modo tale da non apparire mai gratuiti e autoreferenziali. La Borin ritrae un universo femminile non banale, la cui estrema sensibilità lo mette in contatto con il mondo animale (“Annina”) e ultraterreno (“Il figlio dell’avvocato”). Sullo sfondo di vicende narrate con sobrietà si staglia una natura percepita talvolta come una presenza minacciosa (“Il sogno di Delfina”) e resa con una vivacità quasi pittorica. Al lettore sembra di avvertire l’avvicendarsi delle stagioni, lo scatenarsi dei temporali, il profumo della legna e dei fiori, a riprova di un’attenzione al mondo della campagna che rifugge però da ogni stereotipo. Non a caso, i personaggi vivono con disagio il distacco dalla città e, immersi nella tranquillità del contesto agreste, scivolano spesso nella noia e nella solitudine, alleviate talvolta dal ricorso alla tecnologia (“Amicizia senza confini”). |